Il Vesuvio brucia. Cronaca di un disastro annunciato

incendio Vesuvio 2025

Articolo 9 della Costituzione italiana: La Repubblica […] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.

Non è un verso da citare nelle ricorrenze solenni, è un obbligo sacro. È un patto inciso nella nostra legge fondamentale, impresso nel DNA della nostra democrazia. Eppure, bastava salire sulle pendici del Vesuvio in questi giorni di agosto per vedere quanto questo patto sia stato brutalmente calpestato, tradito, dimenticato.

Più di cinquecento ettari di vegetazione divorati dalle fiamme – ad oggi ancora non completamente domate. Un fronte di fuoco lungo tre chilometri che ha trasformato uno dei paesaggi più iconici d’Italia in un inferno di terra carbonizzata. Dove un tempo il verde intenso dei pini e dei lecci disegnava ombre fresche sui sentieri panoramici, ora si stende un deserto nero, punteggiato da scheletri di tronchi carbonizzati che si ergono come lapidi in un cimitero vegetale.

Il silenzio che regna ora su quelle pendici è assordante. Non più il fruscio delle foglie mosse dal vento vesuviano, non più il canto degli uccelli che nidificavano tra i rami. Solo il suono sinistro del vento che sibila tra i resti bruciati di quello che era il polmone verde del vulcano più famoso del mondo.

Dove dovevano esserci stradine tagliafuoco tenute pulite e accessibili – linee di difesa essenziali contro le fiamme – c’erano muri impenetrabili di vegetazione incolta, cresciuta per decenni senza alcuna manutenzione. Un accumulo criminale di materiale combustibile che ha trasformato ogni sentiero in una miccia pronta a esplodere.

Dove i turisti e i cittadini dovrebbero trovare ingressi puliti e accoglienti al loro Parco Nazionale, ho visto con i miei occhi cumuli osceni di spazzatura, montagne di rifiuti domestici e industriali; plastica di ogni tipo, pneumatici abbandonati, materiali tossici. Quegli stessi cumuli che sono rimasti lì per anni, immobili e intoccabili nonostante le denunce ripetute di cittadini e associazioni ambientaliste. Quegli stessi rifiuti che, quando sono arrivate le fiamme, hanno fatto da combustibile aggiuntivo, alimentando l’incendio con ferocia inaudita e sprigionando nell’aria sostanze velenose. Discariche abusive trasformate in acceleranti del disastro, bombe ecologiche che hanno rafforzato il fuoco dandogli più vigore e forza distruttiva, innescate dall’incuria criminale e dall’illegalità tollerata per troppo tempo.

Tutto questo non è accaduto per caso. È la prova tangibile, dolorosa, di ciò che non è stato fatto nonostante le leggi lo imponessero chiaramente. Per norma, il Parco Nazionale del Vesuvio deve essere dotato di strade tagliafuoco mantenute efficienti, sistemi di prevenzione attivi e funzionanti, controlli costanti del territorio, bonifica sistematica delle discariche abusive. Lo impone la Legge quadro sulle aree protette, lo impongono i Piani di Gestione della Rete Natura 2000, lo impone il Piano del Parco stesso.

Eppure, quelle norme sono rimaste lettera morta, inchiostro su carta. Si è scelta, ancora una volta con lucida determinazione, la politica miope dell’emergenza, nessuna cura preventiva, nessun presidio costante, nessun investimento nella prevenzione, fino al giorno maledetto in cui il fuoco divampa inesorabile.

Solo allora, quando ormai è troppo tardi si decreta lo stato di mobilitazione nazionale. Solo allora si stanziano milioni di euro pubblici per squadre di Canadair, elicotteri, squadre speciali. Un meccanismo perverso e autolesionista, spendere cento per spegnere, invece di investire dieci per prevenire. È la filosofia del fallimento istituzionalizzato.

incendio Vesuvio 2025

Il Vesuvio non è un ostacolo allo sviluppo, come troppe amministrazioni locali miopi sembrano considerarlo da decenni. È una risorsa strategica di valore inestimabile. Un Parco Nazionale che racchiude un patrimonio unico di biodiversità mediterranea, storia millenaria stratificata nella roccia vulcanica, geologia eccezionale, potenzialità immense per un turismo sostenibile e di qualità.

Quest’area, se fosse stata gestita con visione lungimirante e competenza, avrebbe potuto generare economia pulita, lavoro stabile per centinaia di famiglie, un’identità territoriale forte e riconoscibile. Invece viene sistematicamente trattata come terra di nessuno, lasciata marcire nell’abbandono finché non brucia, per poi essere usata come palcoscenico mediatico di proclami vuoti e passerelle elettorali.

E poi c’è l’altra verità, quella che brucia più del fuoco, questo incendio non è stato un tragico incidente. Le autorità parlano apertamente di origini dolose come prima ipotesi investigativa. La memoria corre inevitabilmente all’estate del 2017, quando le fiamme devastarono il Vesuvio con una ferocia senza precedenti e venne accertata l’origine dolosa.

C’è una mano criminale che ha appiccato questo fuoco, ma c’è soprattutto una catena devastante di omissioni istituzionali e sottovalutazioni imperdonabili che lo ha lasciato crescere indisturbato fino a diventare incontrollabile. All’inizio l’incendio era circoscritto, domabile con mezzi ordinari. Un focolaio che poteva essere spento in poche ore con l’intervento tempestivo di squadre specializzate e mezzi aerei. Invece qualcuno, seduto in qualche ufficio, ne ha decisamente sottovalutato la portata. 

Nei giorni successivi, quando il fronte del fuoco si è allargato enormemente trasformandosi in un mostro indomabile, anche allora la macchina burocratica ha continuato a sottovalutare la portata del disastro. Solo quando l’incendio si è esteso per chilometri, quando ormai era troppo tardi per salvare il salvabile, sono finalmente arrivati i primi mezzi importanti: Canadair, elicotteri, squadre specializzate. Ma anche lì, ritardi enormi, inaccettabili, che hanno trasformato un’emergenza gestibile in una catastrofe ambientale.

È un sistema marcio fino al midollo che interviene solo quando ormai è tardi, spendendo milioni per spegnere fiamme che si sarebbero potute domare con una frazione di quella cifra, un pizzico di competenza e una briciola di buonsenso amministrativo.

Quello che è accaduto al Vesuvio non è un destino inevitabile scritto nelle stelle o nelle viscere del vulcano. È una scelta politica precisa, deliberata, consapevole. È la decisione colpevole di trattare questo gigante addormentato come un ostacolo ingombrante allo sviluppo urbanistico selvaggio, anziché come una risorsa inestimabile per il futuro del territorio.

Eppure questo vulcano, con la sua corona verde e i suoi sentieri panoramici che abbracciano il Golfo più bello del mondo, potrebbe essere un motore formidabile di turismo sostenibile, cultura, educazione ambientale, ricerca scientifica internazionale. Potrebbe essere la nostra Amazzonia in miniatura, una scuola a cielo aperto per le generazioni future, un laboratorio naturale.

La difesa di questo Parco non può continuare ad essere solo emergenziale, una corsa affannosa dietro ai disastri quando ormai sono compiuti. Serve un cambio radicale di prospettiva, una rivoluzione culturale prima ancora che amministrativa.

Servono piani permanenti di gestione, manutenzione costante e professionale del territorio, pattugliamenti quotidiani con personale formato e motivato, bonifica sistematica delle discariche abusive, sanzioni economicamente dissuasive e ripristino obbligatorio per ogni abuso commesso. Servono amministratori con visione, imprenditori responsabili e cittadini consapevoli che vedano finalmente l’area del Parco non come un problema da contenere o aggirare, ma come una ricchezza da valorizzare e custodire gelosamente.

Ogni giorno che passa senza queste azioni concrete è un giorno in cui il prossimo incendio diventa più probabile, più devastante, più irreversibile. E quando accadrà di nuovo – perché accadrà, matematicamente, se non cambiamo rotta in modo drastico – non basteranno più le lacrime di coccodrillo, le conferenze stampa di circostanza o i post indignati su Facebook.

Ci vorranno coscienze finalmente pronte ad assumersi le proprie responsabilità, a guardare negli occhi i veri responsabili di questo scempio e a dire con voce ferma: questa è la vostra firma indelebile sul paesaggio ferito, questa è la vostra eredità avvelenata per le generazioni che verranno.

Il Vesuvio oggi brucia. Ma brucia soprattutto la nostra vergogna di cittadini che hanno permesso tutto questo.

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